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Bianco di Pitigliano Doc

DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA DEL VINO “BIANCO DI PITIGLIANO”

Approvato con DPR 28.03.1966 G.U. 326 – 30.05.1966
Modificato con DPR 17.04.1990 G.U. 244 – 18.10.1990
Modificato con DM 30.12.2010 G.U. 14 – 19.01.2011
Modificato con DM 22.11.2011 G.U. 294 – 19.12.2011
Modificato con DM 30.11.2011 Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza - Vini DOP e IGP

Articolo 1 - Denominazione

1. La denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano» è riservata ai vini bianchi che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

  • «Bianco di Pitigliano»;

  • «Bianco di Pitigliano» superiore;

  • «Bianco di Pitigliano» spumante;

  • «Bianco di Pitigliano» Vin Santo.

Articolo 2 - Base ampelografia

1. I vini a denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano» devono essere ottenuti dalle uve provenienti da vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

«Bianco di Pitigliano», «Bianco di Pitigliano» superiore e «Bianco di Pitigliano» spumante:

Trebbiano toscano dal 40% al 100%;

Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente, da 0 a 60%.

Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana.

«Bianco di Pitigliano» Vin Santo:

Trebbiano toscano dal 40% al 100%;

Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente, da 0 a 60%.

Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana.

2. I vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana, citati al precedente comma 1, sono quelli iscritti nel Registro Nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, e successivi aggiornamenti, il cui elenco completo è riportato nell’allegato 1 al presente disciplinare.

Articolo 3 - Zona di produzione delle uve

1. Le uve destinate alla produzione della denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano» devono essere prodotte nella zona, appresso descritta, in provincia di Grosseto, comprendente:

gli interi territori dei comuni di Pitigliano e Sorano;

il territorio comunale di Scansano, con l’esclusione della parte occidentale compresa tra il confine del predetto comune in corrispondenza del torrente Trasubbie, del torrente Maiano e la dividente che ha origine a sud nel punto in cui la strada statale monte Amiata attraversa il confine comunale di Scansano (quota 374), la segue per breve tratto fino a quota 377, per poi percorrere la strada vicinale dei Gaggioli fino a innestarsi con la strada statale Scansanese, che segue fino alle case Brocchi; segue, quindi, interamente la strada provinciale Pancole- Polveraia; si identifica poi con la strada comunale Polveraia-Pian d’Orneta, fino a collegarsi con il confine comunale nord di Scansano;

il territorio comunale di Manciano, con l’esclusione dell’estrema parte occidentale dello stesso, delimitata a nord dal confine comunale in corrispondenza del fiume Albegna; a ovest e a sud allo stesso limite di comune; a est dalla dividente che ha origine a sud dal punto in cui la strada di bonifica n. 28 attraversa il confine comunale di Manciano (quota 57); segue detta strada fino a innestarsi, in località Sgrillozzo, con la strada statale n. 74, che percorre fino alla curva di Case Poggio Lepraio (quota 39); prosegue poi con la strada di bonifica n. 19, che passa per Casalnuovo e case Pinzuti e infine, con la strada di bonifica n. 17, passante per case del Lasco, fino al punto in cui interseca a nord il fiume Albegna.

Articolo 4 - Norme per la viticoltura

1. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui all’art. 2, devono essere quelle normali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve ed ai vini le specifiche caratteristiche di qualità. Per la coltivazione dei vigneti sono esclusi i fondovalle e i terreni pianeggianti e umidi.

2. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati, comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

3. Per i nuovi impianti e reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.000.

4. È vietata ogni pratica di forzatura. È consentita l’irrigazione di soccorso.

5. La resa massima di uva ammessa per la produzione dei vini «Bianco di Pitigliano» e «Bianco di Pitigliano» Vin Santo non deve essere superiore a tonnellate 12,50 per ettaro in coltura specializzata Tuttavia, la resa massima di uva ammessa per la produzione del vino «Bianco di Pitigliano» superiore non deve essere superiore a tonnellate 11 per ettaro in coltura specializzata.

6. A detti limiti, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso una cernita delle uve, purchè la produzione non superi del 20% il limite medesimo. Le eccedenze delle uve, nel limite massimo del 20%, non hanno diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre detto limite decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

7. Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di vigneto a coltura promiscua deve essere calcolata in rapporto alla effettiva superficie coperta dalle viti.

8. La Regione Toscana, con proprio decreto, su proposta del Consorzio di Tutela, sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali e di coltivazione, può stabilire un limite massimo di produzione rivendicabile di uva per ettaro inferiore a quello fissato dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e all’organismo di controllo.

9. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 10,50% vol, mentre per la tipologia «superiore» devono assicurare un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 11,50% vol.

10. Le uve destinate alla produzione della tipologia di vino «spumante» devono assicurare un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 9,50% vol.

Articolo 5 - Norme per la vinificazione

1. Le operazioni di vinificazione e di appassimento delle uve devono essere effettuate nell’ambito del territorio dei comuni di Pitigliano, Sorano, Manciano e Scansano, in provincia di Grosseto, fatte salve le deroghe previste nel presente articolo.

2. In deroga a quanto stabilito al primo comma del presente articolo, le operazioni di vinificazione, nonchè quelle di conservazione e invecchiamento, previste per la tipologia «Bianco di Pitigliano» Vin Santo possono essere effettuate nell’intero territorio amministrativo della provincia di Grosseto e in quello delle province limitrofe di Pisa, Livorno e Siena.

3. È consentito l’arricchimento dei mosti e dei vini di cui all’art. 1, fatta eccezione per il «Bianco di Pitigliano» Vin Santo nei limiti e condizioni stabilite dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti concentrati ottenuti da uve prodotte nella zona di produzione delimitata dal precedente art. 3 o, in alternativa, con mosto concentrato rettificato o a mezzo di altre tecnologie consentite.

4. La resa massima di uva in vino dei vini della denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano», all’atto dell’immissione al consumo, non deve essere superiore al 70%. Qualora la resa superi detto limite, ma non il 75%, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre il 75% decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

5. Tuttavia, la resa massima dell’uva in vino finito «Bianco di Pitigliano» Vin Santo non deve essere superiore al 35% dell’uva fresca al terzo anno di invecchiamento del vino.

6. Il tradizionale metodo di vinificazione per l’ottenimento del «Bianco di Pitigliano» Vin Santo prevede quanto segue:

l’uva, dopo aver subito un'accurata cernita, deve essere sottoposta ad appassimento naturale; l’appassimento delle uve deve avvenire in locali idonei;

è ammessa una parziale disidratazione con aria ventilata e l’uva deve raggiungere, prima dell’ammostatura, un contenuto zuccherino non inferiore al 26%;

la vinificazione, la conservazione e l’invecchiamento del «Bianco di Pitigliano» Vin Santo deve avvenire in recipienti di legno di capacità non superiore a 500 litri per un periodo minimo di diciotto mesi a decorrere dal 1° gennaio successivo all’anno di raccolta;

l’immissione al consumo del «Bianco di Pitigliano» Vin Santo non può avvenire prima del 1° marzo del terzo anno successivo a quello di produzione delle uve;

Al termine del periodo di invecchiamento il prodotto deve avere un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 16% vol.

Articolo 6 - Caratteristiche al consumo

1. I vini a denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano» devono rispondere, all’atto dell’immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:

«Bianco di Pitigliano»:

  • colore: giallo paglierino più o meno intenso;

  • odore: fine e delicato;

  • sapore: asciutto, fresco, talvolta vivace, con fondo leggermente amarognolo, di medio corpo;

  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol;

  • acidità totale minima: 4,50 g/l;

  • estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

«Bianco di Pitigliano» superiore:

  • colore: giallo paglierino più o meno intenso;

  • odore: fine e delicato;

  • sapore: asciutto, fresco, vivace, con fondo leggermente amarognolo, di medio corpo, morbido;

  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol;

  • acidità totale minima: 4,50 g/l;

  • estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

«Bianco di Pitigliano» spumante:

  • colore: paglierino con riflessi verdolini;

  • odore: delicato;

  • sapore: da dosaggio zero a dry, vivace, acidulo, con fondo leggermente amarognolo;

  • spuma: fine e persistente;

  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol;

  • acidità totale minima: 5,00 g/l;

  • estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

«Bianco di Pitigliano» Vin Santo:

  • colore: dal paglierino, all’ambrato, al bruno;

  • odore: etereo, caldo, caratteristico;

  • sapore: da secco a dolce, armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità per il tipo amabile;

  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 16,00% vol di cui almeno il 12,00% svolto;

  • acidità totale: 4,50 g/l;

  • estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

2. È facoltà del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali modificare, con proprio decreto, i limiti minimi sopra menzionati per l’acidità totale e per l’estratto non riduttore minimo.

Articolo 7 - Etichettatura, designazione e presentazione

1. Alla denominazione di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi specificazione aggiuntiva diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi «extra», «fine», «scelto», «selezionato» e «similari».

2. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore.

3. È consentito altresì l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche aggiuntive che facciano riferimento ai comuni e alle frazioni riportati nell’allegato A e alle fattorie, zone e località dalle quali effettivamente provengono le uve da cui il vino così qualificato è stato ottenuto, purchè nel rispetto delle normative vigenti in materia.

4. Nella designazione dei vini a denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano» di cui all’art. 1 può essere utilizzata la menzione «vigna» a condizione che sia seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, che la vinificazione e la conservazione del vino avvengano in recipienti separati e che tale menzione, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento e che figuri nell’apposito elenco regionale ai sensi dell’art. 6, comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 2).

5. Nella presentazione e designazione dei vini di cui all’articolo 1, con esclusione della tipologia spumante, è obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

Articolo 8 - Confezionamento

1. Per il confezionamento dei vini a denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano» sono ammessi tutti i recipienti di volume nominale autorizzati dalla normativa vigente, ivi compresi i contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre in materiale plastico pluristrato di polietilene e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido.

2. Per la tappatura dei vini, allorquando siano confezionati in bottiglie di vetro, può essere utilizzata qualsiasi tipo di chiusura, escluso il tappo a corona per bottiglie di capacità nominale superiore a 375 ml.

3. Tuttavia, per le tipologie con menzione «superiore» e «vigna» sono consentite soltanto bottiglie di vetro aventi forma e abbigliamento consoni ai caratteri dei vini di pregio, con volume nominale fino a 5 litri con chiusura a norma di legge.

4. I vini a denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano» Vin Santo devono essere immessi al consumo esclusivamente in bottiglie in vetro di capacità non superiore a 3 litri, con chiusura a tappo di sughero raso bocca.

Articolo 9 - Legame con l’ambiente geografico

A) Informazioni sulla zona geografica

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, in un territorio a giacitura collinare e pedecollinare che comprende l’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e parte di quello dei comuni di Manciano e Scansano.

I terreni dell’area, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da superfici strutturali su formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche mentre, a ovest del fiume Fiora, prevalgono forme di aggradazione su formazioni prevalentemente marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche. Le formazioni quaternarie antiche e recenti, con conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia, affiorano dovunque nella parte centrale della zona, lungo i corsi d’acqua e nella fascia collinare a ovest di Manciano e verso Scansano. L’area è caratterizzata da rilievi da bassa a medio-alta collina, ma al centro del comprensorio delimitato, nei comuni di Pitigliano e Sorano, sono presenti vaste zone di altopiano ove la presenza di rocce tufacee, originate da eruzioni succedutesi nei secoli, è predominante, tanto da influenzare l’aspetto stesso del paesaggio.

La quota media è di 310 metri s.l.m., mentre la pendenza oscilla intorno al 5%; l’esposizione media è a sud-est.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e la prima decade di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e maggio la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla seconda decade di maggio, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi. Possono essere considerate due prevalenti condizioni climatiche, e cioè quella dell’area di Pitigliano-Sorano, con temperatura media intorno a 14°C e precipitazioni intorno a 920 mm/anno e quella dell’area di Manciano, situata più a ovest verso il mare, con temperatura media di 14-14,5°C e precipitazioni medie di 750 mm/anno. Considerata la presenza, nella zona delimitata, di una parte consistente del comune di Scansano, le cui condizioni climatiche sono più affini a quelle dell’entroterra mancianese rispetto all’area pitiglianese, può essere quindi considerato un valore medio di precipitazioni annue intorno agli 780-840 mm, con un minimo di 22 mm nel mese di luglio (dato medio) e un massimo di 124 mm nel mese di novembre (dato medio), e una temperatura media annua di 14,5-15°C; l’indice di Huglin si attesta tra 2.100 e 2.500 unità, a seconda dell’area considerata.

Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura; in inverno non è raro, invece, che soffi, anche in modo violento, la Tramontana, soprattutto nel comprensorio di Pitigliano e Sorano.

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.

I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini del « Bianco di Pitigliano » , sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Statonia, nella parte orientale della zona di produzione, le città etrusche di Sovana e di Saturnia, più a ovest, le aree di Poggio Buco, nella parte meridionale, e di Ghiaccio Forte, a ovest di Manciano, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Pitigliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume; nelle necropoli di Vitozza e Sovana, invece, sono state rinvenute cantine scavate direttamente nel tufo, e un esempio ancor oggi chiaramente visibile lo si ha visitando la fortezza Orsini a Sorano. La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che prevedevano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”.

La tradizione vitivinicola del territorio pitiglianese e soranese ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando attraverso le vicissitudini della famiglia Aldobrandeschi e, più tardi, con la scissione di questa famiglia nei due rami di Sovana e Santa Fiora, con quelle degli Orsini, fino alla lunga guerra che questi ingaggiarono con Siena conclusasi, nel 1410, con l’annessione definitiva di Sovana ai domini di Siena, e il conseguente spopolamento di Sovana a favore delle vicine Pitigliano e Sorano.

Fin da epoche lontane, tutti coloro che sostarono nell’antica cittadina di Pitigliano per traffici e azioni militari, ebbero modo di apprezzare e gustare vini soprattutto bianchi, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo, per le loro peculiari caratteristiche di vini abboccati, gradevolmente profumati.

Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti.

Il dott. Villafranchi-Giorgini, nel 1847, in una memoria letta alla Società Agraria Grossetana, affermava che esisteva all’Orto Botanico di Pisa un tronco di vite alto 5 braccia (metri 2,92) e della circonferenza di 4 (metri 2,30) proveniente da Valle Castagneta, cioè nell’area soranese.

Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”.

L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto.

Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo...... Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,..... perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”. Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”.

Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva:

“II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari...... Attualmente la maggior quantità di vino viene data dai comuni di Pitigliano, Sorano, Massa Marittima e Roccastrada i quali sono pure dotati di buone Cantine per conservarlo specialmente i primi due, fabbricati come sono nella lavorabile tufa vulcanica”.

Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della zona pitiglianese e soranese ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera. In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni.

Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.

Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione nel 1954 della Cantina Sociale di Pitigliano, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.

Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano.

Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma sud-orientale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, riconoscimento che verrà attribuito col decreto del presidente della Repubblica del 28 marzo 1966 (il sesto, in ordine cronologico, attribuito in Italia) per il vino «Bianco di Pitigliano» incentrato, per lo più, sulle uve dei vitigni Trebbiano toscano (localmente detto Procanico), Greco, Grechetto, Malvasia bianca lunga e Verdello, al quale si sono aggiunte, quasi 25 anni dopo, le versioni Superiore e Spumante, unitamente all’inserimento di nuove varietà – per lo più internazionali – tra quelle complementari, presenti soprattutto nei nuovi impianti; infine, con la modifica del disciplinare intervenuta a novembre 2011, è stata inserita la tipologia tradizionale Vin Santo, con la contestuale semplificazione della base ampelografica produttiva, basata sempre sul Trebbiano toscano ma con uno spazio più ampio per i vitigni complementari, tra i quali sono stati inseriti Ansonica e Viognier.

8-L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

  • base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Trebbiano toscano e, in minor parte, Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto e Ansonica, e gli internazionali Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, oltre alle varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;

  • le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e il Guyot singolo o a doppia palmetta, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3000 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (87,5 hl/ha per il tipo “base” e lo spumante, che scende a 77 per la tipologia Superiore e a 43,75 hl/ha il Vin Santo);

  • Le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base e la tipologia Superiore, riferita a un bianco maggiormente strutturato, ottenuto da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base”; di tradizione consolidata è anche l’elaborazione del vino spumante, facilitata dalla frequente presenza di cantine naturalmente scavate nel tufo che consentono il mantenimento di temperature ottimali anche per l’elaborazione di questo vino, e la produzione di vini ottenuti con la tradizionale tecnica del “vinsanto”, utilizzando uve sottoposte a un’accurata cernita e fatte appassire in locali idonei, per essere successivamente conservate e invecchiate in tradizionali caratelli per un periodo adeguato.

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.

La DOC « Bianco di Pitigliano » è riferita alla tipologia Bianco “di base”, al tipo Spumante, a quello con menzione “Superiore” e alla tipologia Vin Santo, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare, tutti i vini presentano un modesto tenore di acidità, leggermente più elevato, come logico, nella tipologia Spumante.

I vini bianchi “tranquilli” si presentano generalmente con un colore paglierino con tonalità più o meno intense, talora con riflessi verdolini, un profumo tendenzialmente fine e delicato, talvolta con note fruttate e floreali, la cui ricchezza è in funzione della percentuale delle varietà a bacca bianca complementari eventualmente utilizzate (fino al 60%), in primis Greco, Grechetto, Sauvignon, Viognier e Chardonnay, in rapporto al Trebbiano toscano presente (minimo 40%), mentre al gusto si presentano asciutti, freschi, di media corposità, morbidi, con un fondo leggermente amarognolo; nella tipologia che si fregia della qualifica “Superiore” il colore tende al giallo paglierino, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua complessità ed eleganza, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza e di corpo; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dalla qualità delle uve, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce una resa inferiore e una gradazione minima naturale più elevata rispetto al tipo “base”. Il vino Spumante si presenta con un colore paglierino con riflessi verdolini, profumo delicato, con sentore di crosta di pane soprattutto nelle versioni con rifermentazione in bottiglia, mentre al palato è acidulo, fresco, con fondo leggermente amarognolo, più o meno morbido e rotondo a seconda delle versioni prodotte, da dosaggio zero (decisamente asciutta) a extra-dry, più morbida e vellutata.

La tipologia Vin Santo si presenta con un colore dal paglierino, all’ambrato fino al bruno, un profumo ricco e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di frutta matura, di uva passa e candita, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.

C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, nell’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e in parte di quello di Manciano e Scansano, con una quota media intorno a 310 metri s.l.m., una pendenza media del 5%, una esposizione che da nord-est degrada verso sud-ovest (media a sud-est), per il particolare beneficio delle sue colline protette dai venti freddi del nord e aperte alle brezze marine ma con una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche dei vini « Bianco di Pitigliano ».

In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche (marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche a ovest del fiume Fiora, conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia nella fascia collinare a ovest di Manciano e verso Scansano), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.

Sono terreni per lo più franchi, tufacei, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, privi di carbonati, tendenzialmente aridi, ricchi di potassio e poveri di fosforo assimilabile, con discreta dotazione di sostanza organica, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.

Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una buona piovosità (media intorno ai 780-840 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 90-100 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2100 e 2500°C-

giorno), da una buona temperatura media annuale (14,5-15°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini « Bianco di Pitigliano » .

La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma sud-orientale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini « Bianco di Pitigliano » .

È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i vini « Bianco di Pitigliano » , le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione.

In particolare, questa parte di territorio della Maremma grossetana era noto come la “Civiltà del Tufo”, caratterizzata da antichi insediamenti di origine etrusca: parlare di presupposti viticoli etruschi in questa zona appare, perciò, ovvio, tali e tante sono le testimonianze (vasellame e pithoi reperiti in molte delle aree archeologiche presenti sul territorio, e le stesse vecchie cantine in gallerie scavate nel tufo anche all’interno della città di Pitigliano, ne sono una prova), che continuano in epoca romana fino al medioevo, nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie. La vocazione vitivinicola, però, appare più tardi, con gli Aldobrandeschi nel primo medioevo; era questa una famiglia di origine certa longobarda che impostò la propria contea attorno al Castello di Santa Fiora e dominò queste contrade fino al 1439, quando la Contea passò agli Sforza.

Furono numerosi gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, e non mancarono le testimonianze di chi, attraversando il territorio pitiglianese, rimase colpito dai vini qui ottenuti, soprattutto bianchi, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo.

Alla fine del 1500, Bacci, descrivendo queste campagne “...situate nel cuore dell’Etruria” segnala, oltre ai vini rossi prodotti nel territorio scansanese, anche i bianchi, mescolati con dolci moscatelli, com’era di moda all’epoca.

Tre secoli più tardi, il dott. Villafranchi-Giorgini (1847) cita un tronco di vite di dimensioni eccezionali proveniente da Valle Castagneta, nella zona di Sorano, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo. Giacomo Barabino (1884) si sofferma sulla eccellente qualità dei vini prodotti nelle zone di Magliano, Pereta, Scansano, Manciano, Pitigliano e Sorano, già a quel tempo tra le più significative della provincia. Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione viticola della Maremma esprimendosi in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando come zone di maggiore produzione i territori dei comuni di Massa Marittima, Roccastrada, Pitigliano e Sorano, gli ultimi due dotati anche di buone cantine per la conservazione.

In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo, e oggi ancora riscontrabile percorrendo il territorio, dove non di rado è possibile trovare vecchie cantine scavate direttamente nel tufo già al tempo degli etruschi e dei romani e, in parte, ancora oggi utilizzate, come accade a Pitigliano e Sorano.

Tra gli aspetti più particolari che legano i rinomati vini bianchi ottenuti in queste terre con la comunità pitiglianese, deve essere segnalata la produzione, da tantissimi anni, di un vino Kasher destinato al consumo delle comunità ebraiche italiane ed estere; si tratta proprio di un Bianco di Pitigliano preparato secondo le regole della religione ebraica, che proprio a Pitigliano può vantare una presenza millenaria, come conferma il quartiere ebraico del Ghetto conosciuto come “Piccola Gerusalemme”, ove si trova la Sinagoga fondata nel lontano 1598.

All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con l’innesto di nuove cultivar. Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Pitigliano nel lontano 1954 e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per il “Bianco di Pitigliano” (sarà il sesto vino italiano a fregiarsi della Doc), col decreto presidenziale del 28 marzo 1966, incentrato sul vitigno tradizionale Trebbiano toscano o Procanico, accompagnato dalle altre varietà Greco, Grechetto, Malvasia bianca lunga e Verdello.

Ma l’attività di sperimentazione e di studio su varietà di vite diverse dal Trebbiano toscano e su metodi di vinificazione più innovativi, non si interruppe col riconoscimento della denominazione di origine, semmai si fece più dinamica, tanto che, grazie anche all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove aziende, i risultati emersi convinsero i produttori dell’area del Bianco di Pitigliano (quasi 25 anni dopo il riconoscimento della Doc), che era necessario aggiornare il disciplinare di produzione, inserendo la versione Spumante e la tipologia Superiore e, tra le varietà complementari, nuovi vitigni più internazionali, come Chardonnay, Sauvignon, Pinot bianco e Riesling; dopo circa 10 anni, infine, la necessità di presentare vini più freschi e profumati e maggiormente strutturati, convinse i produttori che era necessario ridurre la presenza del Trebbiano toscano, introducendo nuove varietà come il Viognier e l’Ansonica, e inserendo anche la tipologia tradizionale Vin Santo, il che è stato sancito con la modifica del disciplinare intervenuta col decreto ministeriale 22.11.2011.

Articolo 10 - Riferimenti alla struttura di controllo

Nome e indirizzo: Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l.

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Fax : 0445 313080

Mail: info@valoritalia.it

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) in applicazione del Decreto legislativo n. 61/2010.

Nel dettaglio il piano prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, e un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori che può essere così sintetizzata:

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Viticoltore, in ordine alla verifica della persistenza delle condizioni per l’idoneità alla DO della superficie coltivata ed alla verifica del rispetto delle disposizioni di tipo agronomico impartite dal disciplinare; tale percentuale è comprensiva della verifica ante-vendemmia per accertare il rispetto della resa massima di uva/ettaro pari al 10% delle aziende;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Centro intermediazione delle uve atte alla vinificazione, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto uve ed ai registri di cantina, nonché alla rispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione;

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della conformità delle operazioni tecnologiche effettuate sui prodotti alle disposizioni impartite dal disciplinare;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, con prelievo di campioni ai fini della verifica del titolo alcolometrico minimo previsto per la detenzione del prodotto in cantina nella relativa fase di elaborazione;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto del vino ed ai registri di cantina;

20% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto e del corretto uso della denominazione di origine;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, con prelievo di campioni da effettuarsi sul vino a DOP già confezionato per verificare la corrispondenza del vino imbottigliato destinato al consumo con la certificazione di idoneità.

Inoltre, il piano dei controlli prevede un controllo di tipo analitico sistematico sul prodotto atto a DOP detenuto dal soggetto vinificatore e/o dal soggetto identificabile con le aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP e/o dal soggetto imbottigliatore, prima dell’immissione al consumo, che si realizza mediante il prelievo di campioni da inoltrare alle Commissioni di degustazione ed a un Laboratorio di analisi autorizzato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali per i successivi esami chimico-fisico e organolettico e con la verifica della rispondenza quantitativa dei prodotti detenuti.

Allegato A

Elenco delle Menzioni Geografiche Aggiuntive

Elenco dei Comuni:

Sorano

Manciano.

Elenco delle frazioni e delle località:

Nel comune di Pitigliano:

Casone

Collina

Conatelle

Filetta

La Rotta

La Prata

Malpasso

Il Piano

Valle Palombata

Corano

Bagnolungo

Fratenuti

Felcetoni

San Martino - Madonna delle Grazie

Pietramora

Poggio Grillo

Porcile - Vallelunga

Crocignano

Naioli

Vallebuia

Bellavista

Belvedere

Poggio Lombardello

Gradone

Selvicciola

Trigoli

Vacasio

Doganella

Annunziata

Fiora - Meletello

Poggio Rota

Rusceti

San Pietro

Turiano

Valle Morta

Valle Orsaia

Formica

Poggio Cavalluccio

Rimpantoni

Roccaccia

Rompicollo

Pantano

Poggio lepre

Ortale

Sconfitta

Vuglico

Pian di Morrano

Bottinello

Ornelleta

Pantalla

Pian D'Arciano

Porcarecce

Ripignano

Spinicci

Insuglieti - Le Sparne

Nel comune di Sorano:

Filetta

Vignamurata

Pian di Conati

Elmo

Montebuono

Nel comune di Manciano:

Montemerano

Saturnia

Marsiliana

Poggio Murella

Poggio Fuoco

San Martino

Regione: 
Livello: